La leggenda narra che i Veli Umbri, tribù umbra che viveva lungo il fiume Tevere, decisero di costruire sulla stessa riva, alla confluenza del torrente Naia, un nuovo villaggio.  Durante la consumazione di un pasto, la tovaglia stesa in terra fu afferrata da una grande aquila scesa rapida dal cielo e la portò fino in cima alla collina (circa 400 metri) che sorgeva alle loro spalle. Per il capo Tudero ed i suoi uomini fu un segnale divino dove dovesse sorgere il villaggio, o antica città Tutere (“città forte”, “luogo alto e munito”), poi romanizzata in Tuder (in latino significa “confine”). Siamo tra l’VIII ed il VII secolo A.C. e proprio nel rione che si estende dietro l’attuale Duomo fu tracciato il primo solco dove furono costruite le mura della città. Il rione è chiamato Nidola o più comunemente “Nido dell’aquila”, proprio il punto dove l’aquila aveva costruito il proprio nido, oggi simbolo rappresentativo di Todi (un’aquila ad ali spiegate con artigli che sorreggono un drappo).

Tuttavia è più probabile che quando le acque del Tevere trovarono un varco attraverso le Gole del Forello, eliminando la palude che caratterizzava la valle, la zona iniziò ad essere popolata da uomini che costruirono più in alto le capanne per ragioni difensive. La naturale protezione del luogo alto e scosceso non richiedeva inizialmente la costruzione di mura, che furono necessarie invece tra il II ed il I secolo A.C.. Con le attività dell’agricoltura e della pastorizia, divenne determinante per lo sviluppo sociale ed economico il controllo sulle vie di comunicazione, favorito dalla particolare collocazione geografica. La posizione di confine tra il territorio umbro (alla sinistra del Tevere) e quello etrusco (alla destra del Tevere). Todi subisce gli influssi culturali dell’antica Etruria: dell’epoca è la prima strada di comunicazione con Orvieto, che poi arriverà fino a Chiusi, ed il primo tratto di cerchio di mura in Via delle Mura Antiche, in Via Paolo Rolli, Via del Montarone e presso Porta Libera e Porta Marzia.

L’opera più nota e rappresentativa di questo periodo e dell’arte etrusca tutta è il “Marte di Todi”, una scultura in bronzo del V sec. A.C. rinvenuta nel giugno del 1835 presso le mura del Convento di Montesanto, oggi esposta al Museo Gregoriano dello Stato del Vaticano.

Intorno al 340 A.C. con l’aprirsi delle più importanti vie di comunicazione come la Flaminia (che congiungeva Roma a Rimini) e l’Amerina (da Veio a Chiusi, passando per Perugia) e la navigabilità del Tevere, Roma conquistò le popolazioni e le strutture urbanizzate dell’Italia centrale. Roma lasciò alla città di Todi di coniare moneta e su queste le scritte appaiono ancora in lingua etrusca. Tuder non vedeva in Roma un invasore ma un alleato, tanto che partecipa con il suo contingente alla battaglia del Trasimeno contro Annibale nel 218 A.C..

Nel 42 A.C. Todi diventa  la VI regione d’Italia nella divisione Augustea (che comprendeva Assisi, Spello, Città di Castello, Foligno, Gubbio, Bevagna, Amelia, Narni, Spoleto, Trevi, Bettona…), prendendo il nome di “Colonia Julia Fida Tuder”, ovvero “Splendidissima Colonia Tuder” come si legge in una lapide presso l’Abbazia di San Faustino. A questa fase romana si deve l’ampliamento della città, con la costruzione del teatro, dell’anfiteatro, delle terme e di diversi templi, il muro di sostruzione (noto come “i Nicchioni”), le oltre 30 cisterne sottostanti la piazza per la regimentazione delle acque, un secondo cerchio di possenti mura (sopravvivono ancora le Porte: Catena, Santa Prassede, Aurea e Libera).

Con la caduta dell’Impero romano e le conseguenti invasioni barbariche Todi  viene saccheggiata dai Goti, dai Bizantini e Longobardi poichè si trovava lungo il cosiddetto “corridoio bizantino”, che collegava Roma a Ravenna, restando sostanzialmente immune  dalle devastazioni. L’opera del Cristianesimo diffusosi con San Terenziano, afferma e definisce  sia un assetto religioso (ecclesia) e sia quello territoriale (civitas). Nel 760 il re longobardo Desiderio stabilì i confini del territorio di Todi e si andavano definendo le signorie di importanti famiglie, quali i conti Arnolfi, i Montemarte e gli Atti.

La Città vivrà una seconda giovinezza dai primi secoli dell’anno 1000 costituendosi a Comune autonomo. Nel 1201 compare la carica di podestà (una sorta di sindaco) e dal 1250 si affianca la figura del capitano del popolo (una sorta di giudice). Curioso ed interessante notare che la carica di podestà poteva essere attribuita solo se non proveniva dal territorio tuderte, per evitare ingerenze o “condizionamenti”. Il Comune annovera una temibilissima cavalleria che gli permette di espandere il territorio a sud contendendo i territori della città di Orvieto (conquisterà il castello di Montemarte) e diventando alleata della potente Perugia. In questo periodo fu eretta la terza cerchia di mura con le Porta Romana, Porta Perugina, Porta Orvietana e Amerina, sorsero i grandiosi edifici del potere politico e religioso: la Cattedrale dell’Annunziata (il Duomo), il Palazzo del Popolo e quello del Capitano, il Palazzo dei Priori, l’acquedotto e la fontana di Scannabecco.

Nelle violente lotte del periodo tra Impero e Papato si inserisce la figura di Jacopo de Benedetti detto Jacopone da Todi. Frate laico che si schierò contro il responsabile della decadenza spirituale della Chiesa, Bonifacio VIII.  La sua produzione poetica è una delle prime testimonianze dell’uso della lingua volgare italiana.

Nel 1367 il Comune perde la sua autonomia per passare sotto la giurisdizione della Chiesa dopo gli insediamenti di varie famiglie nobili come gli Atti e dei Chiaravalle nelle lotte sanguinose tra guelfi e ghibellini, gli avvicendamenti delle signorie dei Malatesta di Rimini, di Biordo dei Michelotti e di Ladislao d’Angiò, nonché del nobile perugino Braccio Fortebraccio da Montone. In questo periodo la popolazione diminuisce notevolmente a causa della peste che affligge tutta l’Italia. Un decadimento spezzato solo dal completamento del Tempio di San Fortunato.

La seconda metà del 500 fu l’età della supremazia della famiglia Cesi, che espresse ben 4 vescovi, l’ultimo dei quali Angelo, tra il 1566 ed il 1606. Angelo Cesi  traghettò la città nell’età della Controriforma, concependo per Todi un grandioso progetto di rinnovamento culturale, artistico ed urbano. A lui si deve la più importante ed imponente opera architettonica, il Tempio di Santa Maria della Consolazione su disegno del Bramante, la cui ultimazione necessitò di un secolo (1508-1607), il Palazzo Vescovile (o Episcopale),  la chiesa del Santissimo Crocefisso, la splendida fontana della Cesia o della Rua (sulla quale spicca lo stemma della famiglia Cesi), la chiesa della Nunziatina, il Palazzo di Viviano degli Atti (in Piazza Garibaldi), i restauri della Cattedrale (sulla cui controfacciata realizzò il Giudizio Universale), la strada Cesia destinata ad accogliere le grandi processioni che avrebbero magnificato la grandezza della Chiesa.

Il 600 fu assai duro per Todi, caratterizzato ancora da carestie, guerre ed epidemie. La terribile peste del 1630 vide i todini (o tuderti) realizzare la grande statua lignea di S. Martino, conservata nel tempio di Santa Maria della Consolazione, come ex voto per lo scampato pericolo. In quegli anni la città si spopolava, i nobili si rifugiavano nelle loro residenze di campagna ed i conventi si affollavano.

Todi resterà fino al 1860 territorio della Chiesa per entrare poi a far parte del Regno d’Italia. I tuderti parteciparono in gran numero a tutti i moti risorgimentali, dalle guerre d’Indipendenza alla spedizione dei Mille, combattendo e morendo per la libertà e l’Unità d’Italia.  Quando Garibaldi attraversò l’Italia, passando ed alloggiando presso il convento dei Cappuccini, i todini piantarono a ricordo dell’evento un cipresso che ancora oggi vediamo in un giardino sottostante la Piazza Garibaldi al cui centro è posta la statua commemorativa.

Il 900 trovò Todi, come gran parte delle città umbre, in uno stato di grave arretratezza sia politica che economica: l’intera regione non aveva subito un adeguato processo di industrializzazione e le vie di comunicazione erano inadatte a sostenere uno sviluppo economico consistente, agricoltura ed artigianato erano rimasti ai vecchi sistemi e metodi. Ci pensò Augusto Ciuffelli, anche ministro  dei Lavori Pubblici dal 1914 al 1915 a sistemare la situazione con la realizzazione di un nuovo acquedotto, la costruzione della Ferrovia Centrale Umbra ed il potenziamento dell’Istituto Agrario oggi a lui intitolato. Si andavano affermando le prime ed importanti attività industriali del territorio come “Carbonari”, che costruiva macchine agricole, la fornaci di laterizi “Toppetti” ed il mulino-pastificio “Cappelletti”. Si consolidava il Ginnasio-Liceo ”Jacopone da Todi” e l’orfanotrofio maschile fondato da Luigi Crispolti, dove si formarono generazioni di valenti artigiani, in particolare ebanisti e tipografi. Il Palazzo Francischi è un “Centro per i disturbi del comportamento alimentare”, tra i migliori e referenziati in Italia.

L’economia del territorio, da sempre basata sull’agricoltura e l’allevamento non ha mai subito una vera trasformazione industriale, lasciando il paesaggio sostanzialmente intatto.

Nel 1982 la piccola città si rese nota anche di un tragico episodio presso il bel Palazzo del Vignola in cui morirono 35 persone per un incendio divampato al suo interno.

Il comune di Todi ha conosciuto un forte depopolamento dovuti appunto alla fine della mezzadria e la crisi dell’agricoltura ma negli ultimi 20 anni, grazie alla notorietà acquisita per le sue qualità di straordinaria vivibilità, la città si è affrancata dalla sua condizione di isolamento assumendo una forte connotazione di polo turistico e culturale.